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venerdì 16 novembre 2018

Tutto si aggiusta




E poi, la mattina successiva mi hai mandato quel messaggio: un improbabile slide show con un’altrettanto improbabile musichetta russa di sottofondo e con un alternarsi di cuoricini rosa e affermazioni del tipo “Coraggio! Oggi sarà una giornata meravigliosa!”, “La vita ti sorride”, “Buongiorno!”.
Tre minuti di stucchevoli luoghi comuni che mi hanno dato il permesso di piangerci un po' su e di ridere di me, delle mie stanchezze e delle mie pochezze.
Alexia, sei un’amica.
Ti ho conosciuta in primavera e abbiamo trovato subito un terreno comune, è il caso di dirlo, nella passione per le piante, i fiori e la cura dell’orto. Mi hai regalato semi di fiori che non avevo piantato ancora nel mio giardino e io ti ho regalato fiori banali che già possedevi. Mi hai dato i tuoi “bambuki” e io ho potuto sostenere le mie piante di fagiolo. Mi hai consigliato un sacco di rimedi fitoterapici e mi hai fatto ridere quando mi hai raccontato cose come “Io l’ortica la butto giù cruda. Piego la foglia in dentro e la ingoio senza masticare così non punge”.
Mi hai insegnato molti detti del tuo paese. Mi piace quando cominci le frasi con “Nel mio paese si dice…”. Sentenze come “Il cuore ha paura, ma le mani fanno”, mi rimarranno impresse per sempre e spero di trovare una giovane donna, un giorno, nella quale queste parole possano risuonare come ora risuonano in me.
Alexia, sei più alta di me, ma sei talmente sempre intenta a fare qualche pulizia, qualche faccenda, a trasportare qualcosa di molto pesante, che non si direbbe.
Hai un viso aperto, occhi azzurri che sorridono dietro occhiali eleganti, mille rughe e un set di camicie di cotone fatte a mano, sempre stiratissime che ti invidio davvero tanto.
Sei approdata in questa valle del medio Appennino sedici anni fa. Conosci tutti. E ogni tanto mi snoccioli interi alberi genealogici di cui hai mandato a memoria tutti i rami. Molti perché li hai accompagnati nei delicati momenti che precedono la morte.
In Ucraina hai lasciato un marito e due figli, che all’epoca avevano l’uno cinque e l’altro otto anni, ma sei riuscita a farli studiare tutti e due fino all’università.
E ora la vera preoccupazione è che non te li prenda la guerra.
Anche quando mi racconti queste cose, la tua voce è allegra e piena di energia, e io ridimensiono all’istante i miei guai e do forme e luci nuove al mio futuro.
Così domenica ci siamo ritrovate in cucina, nella cucina dove entrambe lavoriamo, in quell’angolo angusto fra la lavastoviglie e il tavolo di preparazione dei piatti e tu mi hai detto “Tutto si aggiusta” e io ho sentito il bisogno di appoggiare delicatamente il palmo della mia mano sulla tua guancia.
Hai inclinato la testa e mi hai sorriso.
È vero: quello che si è rotto si aggiusterà, ma la mia capacità creativa di riparazione si nutre della bellezza di persone come te e io sono felice di averti incontrata.
Tovarich.

martedì 6 novembre 2018

Boker Tov!




                                         “Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma”.
                                                                                                              Bruce Chatwin


“Good morning!”, una voce squillante poco più in alto della mia testa, fra le fronde.
“Good morning!”, ripete.
Sto tornando di buon mattino dalla passeggiata coi miei cani e il sentiero che costeggia la casetta degli ospiti le passa sotto di un paio di metri.
Alzo la testa.
Una manina mi fa ciao da lassù e una figura esile da ballerina si sta tenendo in bilico con le braccia aggraziate sopra una slackline tesa tra due alberi.
La ballerina si chiama Noam, viene dal deserto del Negev in Israele e, insieme al suo compagno Michel, ci aiuta per un paio di settimane in cambio di vitto e alloggio (situazione che è possibile grazie alle meraviglie del web).
Viaggiano in giro per l’Europa su di un pulmino Volkswagen giallo di qualche anno fa che stanno riattando a camper. L’hanno chiamato Victor. L’interno l’hanno isolato con perline di legno e dello stesso materiale hanno costruito il letto pieghevole e la minuscola cucina.
Mentre ci aiutano a tagliare la legna per l’inverno il loro tempo libero lo passano a sistemare il camper.
Michel fa il maniscalco, ha un sorriso aperto e acuti occhi blu. Intaglia splendidi cucchiai nel legno.
Insieme sono talmente belli e rari, che mi aspetto che da un momento all’altro mollino gli attrezzi con i quali lavorano nel nostro piazzale e, contornati di cinghiali danzanti, inizino a cantare e ballare come nel più classico dei musical.
Anzi, tutte le volte che torno stravolta dal lavoro, mentre apro il cancello, mi stupisco che non lo stiano facendo davvero.
Invece guardiamo insieme vecchi film in inglese e ridiamo molto delle nostre incapacità a comunicare in una lingua che non ci è congeniale. Impariamo da loro qualche parola in ebraico e loro assorbono come spugne molto del nostro vocabolario italiano.
Stanno cercando un posto dove vivere che sia possibilmente in montagna. Amano arrampicare e, invece di voltare il muso del pulmino verso il sud Italia, come saggiamente gli abbiamo consigliato in vista dei rigori invernali, sorridendo ci indicano sulla cartina le Dolomiti. Che sono un bel posto, non c’è che dire, se non fosse per le temperature invernali.

Ecco, la sabbia del deserto del Negev, dove non sono mai stata, è arrivata a casa mia con Noam e Michel. E il mare dei Caraibi con Dalya e i boschi della Finlandia con Mirkka e le pendici della Scozia con Izzy.
Adoro viaggiare, ma in questo periodo della mia vita non posso farlo.
Per questo motivo apro la mia casa ai viaggiatori desiderosi di condividere parte della loro strada con me e con la mia famiglia.
È un’esperienza di scambio profondo con anime belle, menti aperte e cuori liberi. E, ad essere sincera, non riesco a immaginare altro modo che questo per nutrire la mia mente errante e placare la mia sete di conoscenza.
Il mio viaggio comincia quando riconosco parti delle persone che incontro nel mio universo interiore. Ha inizio quando una luce particolare illumina la connessione esistente tra una giovane che vive in una yurta ai margini di un deserto del medio oriente e una “me” che avrebbe potuto essere così o che addirittura sarà così in futuro.
Il viaggio, così come lo concepisco, non ha tempo e non ha spazio.
Chatwin non sarebbe stato d’accordo sul fatto che senza camminare sarebbe stato possibile viaggiare, ma forse perché ha viaggiato prima di internet.
E, pur sperimentando profondamente il concetto di Umanità attraverso i suoi viaggi, forse Bruce non ha mai potuto provare un tale forte senso di essere Uno nel qui e ora.

La mia porta è aperta: fatemi viaggiare amici!
E che sia “good morning”, “boker tov” o “buongiorno” poco importa; quello che conta davvero sono gli occhi limpidi, le menti aperte e i cuori liberi.



venerdì 19 ottobre 2018

Momo ed io / 6



Scende la sera sulla nostra casa color salvia e, finita la cena anche per gli umani, Momo chiede di uscire in giardino.
Abbiamo oltrepassato la metà di ottobre e fuori comincia a fare freschetto di sera anche se le giornate sono ancora calde da maglietta a maniche corte.
Nella nostra casa di paglia, il sole, filtrato dai vetri delle finestre, ha creato un bel tepore e noi sparecchiamo la cena pregustando il riposo serale.
La stufa è spenta perché non ne sentiamo il bisogno.
Io guardo i ferri sui quali staziona la mia sciarpa nuova che non vedo l’ora di mettermi al collo. Cosa impossibile, se non finisco di lavorarla…

Il mio cane ama il freddo. Ma soprattutto ama stare in un angolo del giardino quando fa buio, sempre quello, accanto a un giovane cotogno.
Lì, fra l’erba, si è creato un avvallamento dove si accuccia a guardare le colline e spesso, nelle sere d’estate, mi siedo anch’io assieme a lei ad ascoltare i grilli e a contare le lucciole.
Ieri sera, d’improvviso, mi ha colto la mancanza di Momo.
È già da un po' che, a causa del freddo e dell’umido, non vado a sedermi lá, con lei.
Così ho indossato il mio caldo poncho, ho preso la mia sediolina pieghevole da campeggio e le sono andata vicino: “Ciao Momo, ti spiace se mi metto qui accanto? Ho portato una sedia perché altrimenti, con questo umido, domani la sciatica si fa sentire…”.
Momo gira la testa e mi guarda come a dire “era ora che ti presentassi all’appuntamento!”, si alza, accetta due grattini dietro alle orecchie e si riaccuccia al suo posto.
Silenzio.
Silenzio che invita all’ascolto.
“Frrrrrrr, stock!”, alla nostra destra, la vecchia roverella, che svetta sulla stradina di ghiaia, fa cadere un grappolo di ghiande. Questo autunno ne ha fatte davvero tante, quell’albero, di ghiande, per la gioia dei cinghiali che spesso fanno questa strada per ritornare nei loro rifugi.
Alzo lo sguardo e le colline sono sagome nere avvolte da una nebbiolina cerulea illuminata dal quarto di luna che ci sovrasta. Che luce fa questa piccola luna!
Mi sembra di stare nel mezzo di un gioco di Munari: quello con le carte trasparenti che costruiscono paesaggi. Da piccola perdevo ore dietro a quei paesaggi, soli, nubi, alberi stilizzati. Inventavo infinite storie arricchendo quei pochi e accennati tratti di china di mille personaggi.
A poco a poco i miei sensi entrano nella dimensione dell’ascolto e percepisco il frinire dei grilli, che, alla fine di ottobre, non si sono ancora stancati di emettere il loro cricri.
Il mio naso sente odore di foglie che ingialliscono, la mia pelle misura con precisione igrometrica la percentuale di umidità nell’aria. Mi stupisco di come sia possibile sentire così tante cose se solo si presta un po' di attenzione.
In questo momento potrei sceneggiare un’intera stagione de “la donna bionica”, ma penso alla sciarpa che finirò domani, o un altro giorno, e penso a cose che dimenticherò presto, perché questo sentire è molto più forte, più intenso e più commovente.
Momo, aiutami tu, quanto è bella questa notte di ottobre?
Un cane abbaia in lontananza, dove, nel buio, dovrebbe esserci la provinciale: luci piccole piccole passano veloci senza che ci raggiunga il loro rumore.
Potrebbe essere passato un minuto, ma credo sia passata almeno un’ora.
“Momo, andiamo a letto?”, come le dico ogni sera per invitarla a rientrare.
Si alza, si stira in un perfetto adho mukha svanasana e mi segue assonnata.
Tra poco, quando saremo tra le coperte, io sotto e lei sopra, troveremo per abitudine e per amore, il nostro modo di dormire e dividere i sogni.


giovedì 11 ottobre 2018

Ciao Sidi... / 2




Ciao Sidi,
          ora ho delle immagini di te impresse dietro la retina e mi riesce, se possibile, ancora più difficile la    tua attesa.
Nella prima immagine sei in piedi su un marciapiede di città e tieni il guinzaglio di un buffo cane tricolore che ti sta seduto a fianco. 
Ti piacciono i cani? Noi viviamo con due meticci. Ti accoglieranno con gioia: sanno davvero come voler bene senza filtri né barriere.
Hai l’aria tosta e ti atteggi a rapper come si vede nei film. Quanto mondo, e quanto sbagliato e ingiusto, c’è dietro quello sguardo spavaldo.
Nella seconda immagine stai mescolando le verdure in una padella in una piccola, semplice cucina.
Una scena casalinga che mi fa sentire che sei meno lontano di quanto dice il mio cuore in questo momento. 
Ti piace cucinare? Anche a me. Tanto. É uno dei modi che preferisco per conoscere le persone il cucinare insieme. Un gesto intimo, che regala molte parti di sé all’altro. Parti che difficilmente emergono in altri contesti, ma il cibo è vita, il cibo è Madre e le spinge tutte a galla queste parti. 
Spero che avremo modo di mescolare tante spezie io e te.
La terza immagine è un video, quindi ha il beneficio del sonoro. 
Sei grande, praticamente un omone, ma, nell’immagine che ho in mente, pieghi le tue mani verso il petto, come ad indicarti, e dici “io, bambino”.
Sidi, non lo sai e non so se lo saprai mai, ma “anche io, bambina”.
Nelle mille forme che sta prendendo la lunga attesa del tuo arrivo questa è la più inaspettata. Mi immagino in questa nuova forma, nuovissima e quindi “bambina”, che attraversa il mare e il deserto per raggiungerti lì, dove sei nato, in Mali, un paese che conosco solo per immagini, musiche e scritti. 
In realtà sei tu il viaggiatore, sei tu che stai venendo da noi e non viceversa.
Eppure “io, bambina” ti aspetto e, allo stesso tempo, vivo con la sensazione di stare preparando la valigia per un viaggio sconvolgente. 
Sarà “bello”? “Brutto”? In questo momento non lo posso sapere, ma sará di certo un bel impatto per tutti i muri e le cornici che ancora non so di possedere dentro di me. Lo sarà per tutte le innumerevoli volte che mi sorprenderò a specchiarmi nei tuoi modi, nella tua umanità e nelle tue profondità.
Sarò io a varcare i confini del mio piccolo mondo per cercare di raggiungere il tuo, che è molto più vasto, molto più complesso e profuma di futuro.
Questo profumo lo sento ora, Sidi.
E, mentre penso a che forma dare alla tua attesa, mi coglie improvviso questo profumo: di domani, di terra buona, di mani che indicano il cuore. 




mercoledì 10 ottobre 2018

Ottobre



Amo di ottobre:
  • i cieli;
  • la zucca;
  • mele e pere cotogne;
  • le giornate di vento e sole che stupiscono;
  • i compleanni delle mie amiche;
  • i desideri che si dipanano sulle maglie mentre confeziono la mia nuova sciarpa di lana;
  • il che tempo si fa circolare e i pensieri che mescolano passato, presente e futuro;
  • la coperta scoperta che non ricordavo ancora di avere;
  • gli abbracci che si fanno più caldi;
  • la vita che si fa più evidente e fluida e immaginifica;
  • le promesse più facili da mantenere.














mercoledì 3 ottobre 2018

Momo ed io / 5






“Preoccupati di dare agli altri quello di cui hanno bisogno da parte tua”
Cristina Ruschi del Punta - “Sette punti neri”





Il cane è una creatura che sa davvero cosa significa essere una presenza nella vita di qualcuno.
E io, malgrado me, sono una dannata solipsista.
Se lo desidero, riesco ad isolarmi anche vivendo per anni in una casa piena di persone.
E quindi tenere le persone a debita distanza è una mia grande specialità.
Anche le più vicine. Soprattutto le più vicine.
Così, quando Momo è entrata nella mia vita, ho dovuto fare i conti proprio con questo. Assieme a tutte le altre cose, e sono moltissime, con le quali ho dovuto fare i conti alla comparsa del mio cane, c’è stata questa: l’incredibile capacità che hanno i cani di starti sempre vicino.
Ti alzi; si alza. Ti sdrai; si sdraia. Passeggi; passeggia. Ovunque sei tu; è lei.
Ma lo starti vicino dei cani non è meramente fisico, è qualcosa che oltrepassa il quotidiano e ti raggiunge le viscere, qualcosa che ti sfiora dentro e non smette mai, qualcosa che, se non riesci ad accettarlo, ti fa sempre starnutire la mente.
“Ma tu chi accidenti sei?”, le chiedevo quando era un coso peloso che non aveva raggiunto i tre chili di peso. E lei guardava e guardava e guardava…
“ ‘zzo guardi?”, e dentro la mia testa qualcosa starnutiva bello forte “etciuuuuuuuuuuuu”.
Allora non sapevo ancora che, se non avessi accettato questa presenza costante dentro me, quest’anima che si sdraierà schiena contro schiena alla mia tutti i giorni che vivremo insieme, non avrei mai potuto accettare pienamente me stessa.
Ho imparato ad accettare che i cani sanno cose che noi abbiamo smesso di sapere. Ho imparato a capire che la mia mente starnutisce quando ho qualcosa di nuovo e bello da imparare. Ho imparato pian piano che sperimentare l’unione con un altro essere vivente può essere un buon viatico per la mia personale evoluzione e che, a volte, ma solo a volte, è anche doloroso.
Ma che va bene così.
Esiste un “dolore buono” che aiuta l’anima a dire addio a vecchie solitarie abitudini, che, come calzini spaiati, ingombrano i cassetti che dovrebbero contenere i doni che l'Universo ha in serbo per noi. Buttiamo i calzini e teniamoci i doni.
Conviene. Conviene sempre.
E il fastidio da contatto che provavo all’inizio si è trasformato in una domanda: “cosa posso fare per te?”, alla quale Momo ha risposto silenziosamente, ma con forza, perché, per fortuna, vivo con un cane dalla personalità spiccata.
E, con lentezza e diverse difficoltà, lei mi ha insegnato che, quando ci stiamo vicine, ma vicine davvero, non è affatto necessario formulare domande né aspettarsi risposte sincere a domande ridondanti.
Io so chi sei e il mio sguardo limpido ti attraversa tutti i giorni. So cosa stai provando e so di cosa hai bisogno.
Allora ho imparato a rivolgerle a me stessa, le domande.
“Cosa posso fare per starti vicina?”
“Quali sono le cose che ti rendono felice e come possiamo realizzarle insieme?”
“Quali spazi apro dentro di me per farti stare più vicina?”
Piccole cose. Una strada fatta di piccole cose. Una strada fatta insieme, così: sfiorandosi l’anima non appena si può, non appena l’altra ha fatto spazio dentro di sé.

Ora Momo mi trotta incontro con la bocca aperta in un largo sorriso e la lingua penzoloni, e io, che sto ancora imparando a risponderle nel modo che le fa più piacere, non desidero altro che mi tocchi l’anima.

mercoledì 26 settembre 2018

Voilà!


L'immagine può contenere: testo e acqua



Agnes ha il profumo di un raggio di sole che entra in una stanza appena pulita e, mentre saliamo al rifugio Piancavallo in Val Grande, punteggia il suo discorso di "voilà".
È una sera di fine estate, veniamo tutte e due da lontano; ma lei di più.
L'ho incontrata alla piccola e brutta stazione di Verbania, dove sono andata a prenderla.
Per raggiungere Verbania dalla Val Maira, dove è nata, cresciuta e abita, ha dovuto fare qualcosa come quattro cambi, passando per Milano. Io le ferrovie italiane non le capisco.
I capelli biondissimi e raccolti incorniciano una faccia fresca, come se neanche avesse affrontato il viaggio, che conserva anche durante la salita nonostante le guance arrossiscano lievemente per lo sforzo.
Parliamo salendo piano fra i larici e io sbuffo come una locomotiva mentre tento di rispondere alle sue domande e invano provo a formularne di mie per lei cercando di metterci quel poco di intenzionalità che invece mi serve per far andare le mie vecchie gambe.
Sta facendo buio e dobbiamo salire in fretta, se no rischiamo di perderci la presentazione del libro di Enrico Camanni, "Alpi ribelli".
Parliamo di cani e pecore. Lei alleva Sambucana, che è una razza piemontese, insieme ai suoi fratelli e girano per la sua giovane testa molti bei progetti a riguardo. Ama i cani e li conosce molto bene.
Ci incontriamo su questo argomento: i cani, come fanno spesso le persone che li amano. Mi parla dei suoi vecchi amici, quelli che non ci sono più, con antico rispetto e rinnovata gratitudine soprattutto per come hanno lavorato bene insieme alla sua famiglia. Li chiama per nome, i suoi amici cani, e sono nomi pieni di amore.
Arriviamo al rifugio che non si vede più il sentiero, ma l'amico di Agnès che lo gestisce ci accoglie con un sorriso largo. Si capisce che gli piace Agnès!
Le poche persone presenti sono già attorno al tavolo della cena e hanno quasi finito, ma un piatto di polenta concia è rimasto anche per noi.
Ci sediamo vicino a un signore dall’aria dimessa e un volto su cui spiccano, per contrasto, occhi vivaci. Fa domande attente e centrate sulle persone cui le pone, pur non conoscendo l’interlocutore. Conosce la famiglia di Agnès, il nonno in particolare, di cui ci racconta qualche aneddoto. La famiglia di Agnès deve essere famosa in Val Maira e dintorni.
Anche a me chiede due o tre cose sul luogo dal quale provengo stupendomi per la consapevolezza amorevole che mette nell’ascolto delle mie risposte preconfezionate. D’istinto vorrei raccontargli tante cose, ma attorno al tavolo, insieme a noi, ci sono altre persone e, purtroppo, io non sono mai stata molto brava a correre dietro ai buoni presagi del mio istinto.
I tavoli della sala grande del rifugio dove abbiamo mangiato sono stati sparecchiati con discrezione; senza quasi che ce ne accorgessimo.
Il signore dagli occhi vivaci si siede da solo dietro a un tavolo della sala e comincia a raccontarci il suo libro.
Il motivo per cui le Alpi sono “ribelli” è, nel suo pensiero, sia morfologico, sia geografico, sia antropologico. È un pensiero da alpinista, quale lui è, e, da profondo conoscitore della montagna, con chiarezza e semplicità arriva al cuore del problema: queste montagne, a partire dal 1700, sono sempre state considerate un confine geografico lineare, quando, in realtà, le persone che lì vivono le hanno sempre percepite come un luogo a forma circolare. La verticalità, poi, è genesi e ispirazione di resistenze; basti pensare alla forza di gravità che dobbiamo sfidare per arrivare in vetta (e le mie gambe lo capiscono perfettamente).
Il suo libro, però, parla di persone, gente che, in ogni epoca, ha sfidato le istituzioni per far vivere idee eretiche e libertarie. Persone come noi, come me, che hanno cercato rifugio nelle Alpi e, a volte, hanno trovato comunità pronte ad accoglierli e a comprenderli.
Per non precipitare nel sonno direttamente sulla panca, mi alzo per farmi autografare il libro alla fine del discorso.
Guardo le persone che si muovono attorno a me e mi sembra di cogliere in loro, amanti della montagna, una stessa semplice luce.
Il giorno seguente io e Agnès ci svegliamo in un paesaggio inesistente. Nuvole piovigginose avvolgono ogni cosa ed è impossibile capire dove stiano andando i nostri passi. Scendiamo rapide slittando su rocce e foglie. Lei mi regala la stessa calma attenzione della sera prima: a volte, se davanti a me, controlla che non stia cadendo, a volte si ferma e mi fa passare davanti. Quando entriamo nel bosco per l’ultimo tratto del sentiero, i larici gonfi di umidità ci restituiscono una pioggia leggera, ma insistente. Ho i capelli fradici, ma tra poco raggiungeremo l’auto dove potrò asciugarmi, perciò paziento.
Agnès ha la stessa calma dolcezza del giorno prima, mi guarda, sorride, e io penso che da ora in avanti per me la montagna, l’idea stessa di montagna, la sua parte sana e luminosa avrà il volto di questa giovane donna.